[ Un piccolo estratto / 19 gennaio 2024 ]
Arrivi sul velluto delle parole.
Ho comprato un bel quaderno per poterti parlare. La copertina non ti piacerebbe un granchè. C'è una fotografia azzurra: due ragazze accanto alle loro biciclette, la strada di campagna, una curva dolce, la sera che scende verso un altrove di pioggia estiva. Tu diresti che è un pò leziosa ma non è esattamente il colore di queste parole che scrivo.
Uso una penna a punta grossa, con le note musicali disegnate sul cappuccio bianco. Scrivo per la musica dei tuoi giorni feriti, una piccola musica a inchiostro blu, graffi sul tempo.
A computer non potrei raccontarti. Ma qui sulla carta a quadretti piccoli, le lettere si uniscono, si separano, è un percorso che mette il cuore in gola, pause bianche e istanti di te, il filo di una vita che non sapevo, al tempo dell'unione dei nostri corpi.
Perchè noi facevamo l'amore e io credevo di toccarti nel cuore della vita, e poi me ne andavo, tutto solo, per le strade di Rouen.
Più tardi scendeva la sera, i caffè biondi si accendevano a poco a poco, facili tepori sgranati lungo il sagrato freddo della nuova cattedrale, arco di pietra e cemento gettato su un domani durissimo, dove il desiderio si scontra con il cielo della notte. Restavo lì sul sagrato. Il desiderio blu non poteva reggere nel tepore facile dei caffè. Restavo lì, tra due rive, insieme al tempo svuotato e notturno che da le vertigini.
Non leggerai mai queste pagine scritte in una scuola tranquilla nel vento umido d'autunno.
Forse sono solo per me, per averti ancora un pò, è la prima volta che ti tengo nel mio habitat, la prima volta che arrivi al ritmo del mio passo.
Qui i boschi si infittiscono e ti tengo nella mia vallata tra lo studio e la merenda. Sei nelle poesie di Cadou che i bambini recitano come una cantilena...
Ti raggiungerò Helène
attraverso le praterie
attraverso i mattini di gelo e di luce...
Imparo a parlarti nel silenzio di una scuola.
Sai non c'è solo l'insolenza della felicità.
Anche nella tristezza, alla fine, tutto sembra facile ed è così semplice, assomigliarsi.
Il mondo si addomestica. Di colpo ne fai quel che vuoi.
La casetta annessa alla scuola era abbandonata da dieci anni. Il sindaco di Saint-Laurent-des-Bois, Monsieur Savy, me l'aveva detto: "Sa per qualche anno abbiamo avuto soprattutto signorine giovani! Tutte sole, in questa casa non si sentono sicure e certo non si divertono granchè. In genere preferiscono abitare a Rouen. Lì possono uscire..."
Era settembre, il primo pomeriggio. La scuola somigliava alle scuole d'una volta, un pò arretrata rispetto al paese, sulla stradina che scende verso la chiesa e il centro. La casa del maestro al piano terra non è molto grande ma c'è un caminetto in ogni stanza.
Ho messo le mie lampade da tavolo, i libri, il calore della chitarra e dei tuoi album.
Nel mio inverno, nel silenzio delle lampade morbide, ti aspetto.
Te ne sei andata troppo presto. La gente iniziava ad apprezzare cose più leggere.
A nessuno piaceva più, chi si sbranava davanti a loro, le urla acide di disperazione, gli sputi sul niente.
Era il tempo del cioccolato, nella tua cucina con le tendine bianche e rosse. Allora le cucine piacevano, si sta meglio giusto un pò di lato, a margine della felicità, e senza osare dirlo.
Tu facevi dolci marmorizzati cioccolato e limone, io prendevo la chitarra e le canzoni arrivavano, limone amaro e cioccolato, caldo e freddo, felicità-pazienza.
Un pomeriggo verrai a scuola. I bambini non saranno sorpresi, ti accoglieranno come una sorella più grande, come un'amica lontana, in un giorno di pioggia nella monotonia autunnale delle aule.
Poserai il mantello su un banco, i tuoi capelli lunghi bagnati diranno le strade attaversate, la frescura dei paesi.
Sceglierai un libro dall'armadio. Noi staremo zitti, perchè tu vorrai leggere una storia, un racconto d'altri tempi.
La storia sembrerà tutta nuova, e la tua voce grave s'innalzerà su di noi come una pioggia dolcissima che si interrompe all'ora di cena. La storia sarà triste, la piccola fiammiferaia, e i sogni di luce bruceranno la sua vita fragile e bianca. I sogni sono troppo forti, e prenderai Armelle per mano.
Io sarò sguardo, un'ombra nel cuore di quel palazzo d'infanzia. La notte scenderà presto, è già la fine d'ottobre e l'inizio d'un sortilegio blu d'inverno. Porterai la mia classe alla soglia dell'inverno, su sentieri d'altrove.
Ci sarà qualche domanda. Risponderai molto lentamente, quasi a lato della loro attesa.
Loro non conosceranno il tuo paese, forse solo il tuo nome, che ripeteranno, sillabe di mistero, dal gusto di racconto e villaggio sotto la pioggia.
Canteranno per te Tout Bas-Tout Bas, ninna nanna sulle immagini di Andersen, con il capitano di legno che dice :"Passate, prego. Passate!"
Passate, il sogno è là, passate sull'altra riva con l'amica lontana e il suo mantello inzuppato.
Io l'aspettavo, bambino, nelle lezioni di noia, all'ora dello studio. Lei non arrivava mai dormiva nei miei libri, febbre di racconti impossibile dolcezza.
In questa sera d'ottobre sarà là, in fondo al tuo sguardo come una febbre eterna.
Custodisco il tuo nome, che non ti racconterebbe.
La tua morte ha richiuso per me quel nome che non ti racchiude più, perchè?
Avevo steso il mal di te al fondo di due sillabe.
Ma tu sei più vaga, un nome leggero che non ti racconta.
Sei tu nell'ombra dei tigli e nelle risate dei bambini, negli sguardi che fuggono dalla finestra, nella freschezza dell'acqua quando c'è Disegno.
Ho mostrato i tuoi album ai miei scolari, non ho detto che ti conoscevo...
Quando al mattino uscivi per andare a scuola in square Carpeaux, una voce ti chiamava.
Ti rivedo.
Ti volti, vivace, la cartella sulla spalla. Hai un grembiule ricamato a quadretti bianchi e azzurri. Quel nome, gettato nella piazza d'aprile è il tuo, perchè volti la testa, il caschetto dei tuoi capelli ondeggia, e tu hai i gesti vivi e lo sguardo dolcissimo. Nathalie ti corre incontro. L'aspetti. In equilibrio su un piede solo, ti sistemi la calza, la cartella si china con la tua schiena.
Andate a scuola, laggiù, poco lontano, in un sobborgo di Parigi.
Ci sono grandi silenzi nella mia classe, come il rito dei dettati... Leggo molto lentamente, passando tra le file, talvolta mi fermo.
"Alain, dove sei rimasto? Rileggo per Alain...Punto. Fine del dettato...Scrivo il nome dell'autore alla lavagna..."
Penso un poco a ciò che faccio, durante la prima lettura. Ma dopo... Rileggo una volta per la punteggiatura, un'altra per il senso.
In quel momento, nel silenzio, tutti mantengono una parvenza di serietà, ma le parole se ne vanno un pò più lontano, lungo le vie dell'inchiostro blu.
Il sabato, dopo la ricreazione delle dieci, ogni scolaro va al rubinetto per riempire il vasetto di yogurt. E' l'ora del Disegno.
Fuori, l'estate sonnecchia ancora al sole biondo di fine settembre. Dentro profumo di acquerello bagnato. E un pò di trambusto.
"Maestro, posso andare a cambiare l'acqua?" Tengo la brava infanzia al fondo delle ore dimenticate, quando mezzogiorno non arriva, quando i colori impallidiscono sui fogli inzuppati e i mormorii si spengono.
Tutta l'infanzia è lì.
Fuori, un paese approssimato, niente più grida, niente giochi, i vecchi si parlano lentamente, il tempo sembra più lungo.
Laggiù vicino alla Risle, Madame Dubois stende le lenzuola in un giardino troppo nudo, il tempo non passa.
[...]
Sono da te , questa sera, oltre i paesi, oltre l'oblunga dolcezza delle vallate. La mia vita si addormenta al fondo della tua assenza: mi sono colato addosso questa vallata per tenerti con me, per metterti sulla carta fino in fondo.
Nella pace di un paese e di una scuola, ti imparo.
C'è questo quaderno, su un banco di scolaro; ti scrivo la mia memoria.
Sono qui a metterti per iscritto, a colpi di penna, a colpi di passato: è la mia vita, il riflesso della tua memoria disegnata.
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